italiano
LAIKA
HOME > box canili gattili > Pubblicazioni > Randagismo Canino

 

Pubblicazione sul Randagismo Canino a cura di Roberto Spacone realizzata presso il Parco Nazionale di Abruzzo nel 1984.

Scarica il PDF della pubblicazione con le foto.

 

 

 

Roberto Spacone

PROBLEMI CONNESSI ALLA PRESENZA DI CANI VAGANTI


Una ricerca su un'area campione nel Parco Nazionale d'Abruzzo Estratto dalla Rassegna Economica n. 3 del 1984 della Camera di Commercio I.

A. A. di Forlì Tip. Moderna F. lli Zauli - Castrocaro Terme - Agosto   1984

-------
pag 2
Il problema del randagismo sembra coincidere con periodi storici di particolare decadenza ed è chiaramente un indice di mancanza di responsabilità e di inciviltà in generale. Già l'antica Roma era infestata di cani. Un altro esempio oggi viene dal numero, che ha assunto dimensioni enormi, dei randagi che circolano a Città del Messico, città emblema di povertà, progresso e spreco.
Il ritorno allo stato selvatico del cane è più o meno graduale ma sempre originato dall'abbandono soprattutto dei cuccioli, dal maltrattamento o comunque dal disinteresse da parte dell'uomo. In Italia, secondo una recente statistica, si è potuto rilevare che il numero di cani vaganti supera i 100 mila. Nel Parco d'Abruzzo, problema è ancora di dimensioni maggiori perché alle condizioni  igieniche si unisce il fatto che questi cani insidiano la fauna protetta.
Secondo una stima approssimativa fatta al Centro Studi e Pescasseroli da Roberto Spacone, un ricercatore che sta svolgend iegli studi etologici sul cane e sugli ibridi, su tutta l'area del Parco e zone limitrofe, circolano 3500 cani che si possono suddividere in canì «da lavoro» semi-vaganti, cani vaganti, cani insevatichiti bridi originati dall'ncrocio tra inselvatichiti e lupi.
(tratto dal Corriere della Sera Illustrato del 2.8.1980).
Lo studio preliminare (citato nell'introduzione) svoltosi nel 'area del Parco Nazionale d'Abruzzo, ha rilevato l'esistenza di una problematica ecologica legata ali' alta densità di cani allo stato randagio ed alle loro interazioni con l'ambiente.
L'entità del fenomeno nonché la mancanza di dati attendibil scatenò una vera e propria campagna denigratoria nei confronti dello stesso Ente Parco, accusato di aver rilanciato a scopo di ripopolamento fantomatici lupi siberiani, definiti « diversi » dai lupi  italiani, e ritenuti dai pastori ed allevatori quali responsabili dei  ripetuti attacchi inflitti al patrimonio zootecnico.
Dalla metà degli anni settanta infatti questo era sitematicamente decimato, causando ingenti danni economici alle comunità locali.
E' di quegli anni una legge secondo cui i danni subiti dagli allevatori a causa della fauna selvatica, devono essere rimborsati agli stessi, previo accertamento e identificazione, da parte degli agen­ti del Corpo Forestale dello Stalo, delle carcasse degli animali uccisi.
La situazione sopra descritta portava però lo Stalo a rimbor­sare decine di milioni di lire agli allevatori, i quali nonostante tut­to non riuscivano mai ad ottenere il massimo del profitto dagli ani­mali allevati in quanto essi venivano sistematicamente sbranati entro i due mesi di vila.
D'altronde gli allevatori stessi avevano dichiarato che anni addietro, quando cioè sia i lupi che le greggi erano più numerosi sul­le montagne di quelle zone, mai si erano verificati danni così gravi o frequenti. Tali affermazioni mi portarono ad analizzare la popo­lazione canina.
Proposi così nel 1979 all'Ente Autonomo Parco Nazionale d'A­bruzzo il programma di una ricerca atta a rilevare la effettiva cau­sa dei danni al patrimonio zootecnico. Tale programma vaglialo ed approvato dal Comitato Scientifico del Parco, comprendeva i se­guenti punti :
a)  Ricerca eto-ecologica sulla popolazione canina e sue rela­zioni con il lupo (in corso di slampa).
b)  Campagna contro il randagismo canino e tecniche operati­ve.
Tramite un censimenlo condotto in collaborazione con le guar­die del P.N.A. nei Comuni compresi nell'area di studio, consideran­do sia i cani iscritti negli appositi registri comunali, sia i randagi, fu riscontrata la presenza di circa 3.0UO cani, di cui 200 nel solo centra abitato di Pescasseroli.
Tali dati denunciavano indubbiamente una situazione di emer­genza, derivata sia dall'alta densità della popolazione canina, che dall'evidenziarsi di altri fattori ambientali, non solo di ordine igie­nico sanitario ma anche di costume, che favorivano la diffusione del fenomeno del randagismo. La ricerca di note storiche sull'ar­gomento, ha evidenziato che nell'area in esame la principale fonte di reddito per le comunità locali proveniva, ormai da secoli, dal­l'allevamento di bestiame allo stato brado (soprattutto equini e bovini) che si nutrivano e riproducevano in vaste zone di pascolo senza controllo diretto; ma dalla metà degli anni settanta in poi (non a caso è concomitante a quel periodo l'inizio della lunga serie di danni al pa­trimonio zootecnico) si generalizzò tra gli stessi l'abitudine di alle­vare cuccioli di razze canine di tipo molossoitle o lupoide (foto 1) in­sieme alle mandrie, permettendo loro di convivere.
Tale consuetudìne faceva sì che il cucciolo subisse un parti­colare «imprinting» nei confronti della mandria, di cui era in grado di riconoscere i singoli componenti e difenderli da elementi estranei al branco. Questo comportamento veniva stimolato dal pastore che insegnava al cane a rincorrere bovini, equini od ovini per riunirli al proprio branco o gregge, oppure per scacciarli via, bloccandole però nel momento culminante della sequènza comportamentale, quando cioè dopo aver inseguito l'animale, Io avrebbe anche danneg­giato.. Essendo scarsamente alimentati e polendo vagare notte e gior­no, i cani avevano frequenti possibilità di sfamarsi intercettandc ed attaccando soprattutto puledri e vitelli estranei al proprio branco nei cui confronti cadeva l'inibizione che il cane da pastore possiede per il bestiame con cui è cresciuto, specializzandosi sempre più nel comportamento di prcdazione con le immaginabili conseguenze (fo­to 2 e 3).
La selezione nnernln diill'iininii hn fallo sì che fossero nrivile-

----------
pag 4 + foto

gressività e resistenza fisica che hanno permesso ad alcuni di loro di adattarsi appieno alla v^ta in natura. Vivono cioè nello stesso ambiente del lupo, ricalcando i ritmi e le abitudini del «cugino» selvatico, a volte addirittura accoppiandosi con esso e dando vita ad ibridi fecondi elio slnnno provocando un fenomeno di diluizione del patrimonio genetico del lupo in quello del cane. sudo forse que­sti i famosi «lupi sibcriani», che corre voce siano stati lanciali a scopo di ripopolamento da sedicenti associazioni protezionìstiche.
Purtroppo i cani inselvatichiti, proprio per la loro indole, sfuggono ai comuni sistemi di controllo (accalappiamento) diven­tando (se per caso feriti o spaventati) praticamente «invisibili».
La sopravvivenza di questi animali era ed è tulloggi legata alla presenza in tutto il territorio nazionale, di vaste discariche pres­so cui nutrirsi.
Purtroppo quasi mai queste strutture rispondono allo carat-terstiche della relativa legislazione, che ne prevede sia la recinzio­ne che la dislocazione ad una certa distanza dalle strade carrozza­bili e dai centri urbani.
In questa generale situazione di illegalilà, il pericolo più gra­ve ed evidente è costituito dai rifiuti della pubblica macellazione di bovini, ovini ctc. di solito scartati perche infestali dalie cisti della tenia echinococco od altri parassiti e regolarmente mossi (più

---------
pag 5

o meno coscientemente) a disposizione dei sempre affamati cani randagi (foto 4).
Sempre nel corso dell' jidagine. molto frequenti risultn-lono casi di persone affette da cisti idalidee, (i cani sono portato­ri delln trulli echinococcol non solo tra i pastori, maggiormente a «minilo con i cani, ma anche tra cittadini che pur svolgendo attività diverse vivevano nelle zone dove maggiormente era presente 11 fe­nomeno del randagismo cariino.
[n o.qni paese o città era possibile riscontrare la presenza di culli eli ogni mole che la nolte si nutrivano eli quei pericolosi rifiuti allo discariche, e di giorno dormivano tranquillamente ai bordi di strade o piazze (folo 5), a contatto continuo con turisti, bambini ed amici defìi animali, ignari del pericolo di contagio che si corre ac­carezzando il pelo di quesli animali, oppure facendosi da loro lec­care le mani od il viso.
MISURE PREVENTIVE E TECNICHE OPERATIVE
Dai dati raccolti nel corso della ricerca emerse così l'impel­lente esigenza di risolvere, nel più breve tempo possibile, i pro­blemi portati dalla popolazione canina, ed in primo luogo quelli

------------
pag 6
di ordine igienico - sanitario e economico nei confronti delle comunità locali, nonché ciucili derivanti dall' impatto e relativo (Uiiineggiamento a carico dell'ambiente e della Fauna selvatica. L'e­sperienza raccolta in questi anni di ricerca ha dimostralo però che, all'atto pratico, i metodi usuali di cattura si sono rivelati assoluta­mente inefficaci, visto il continuo incremento numerico della popo­lazione canina.
Alcuni Comuni hanno autorizzalo l'uso di lagliele. per catturare i cani randagi. Questi attrezzi però, il più delle volle, pro­vocano gravi mulilazioni tigli arti, che spesso vengono amputati fo­to 7).
Un altro sistema, illegale anch'esso, consiste nel tendere un laccio a forma di cappio in un punto frequentato dai cani; gli ani­mali passandovi in mezzo provocano la loro stessa morte dibattendosi penosamente, oppure riescono a strappare il laccio.
In entrambi i casi ([accio o lagliela) si incorre nel pericolo che qualcuno (soprattutto bambini) mosso a pietà per l'animale im­paurilo e dolorante, lo avvicini rischiando di essere morsicato dallo stesso.
Alcune amministrazioni limino deliberalo l'acquisto di fucili lauciasiringhc che si sono rivelali, a detta di chi li ha usati, assolu­tamente inutilizzabili per la cattura dei cani. Infatti vi sono problematiche di individuazione ed avvicinamento all'animale inselvatichito che di solito è molto diffidente, ed è quindi difficilissimo riuscire a colpirlo (soprattutto in zone boscose). D'altronde quando si tratti di animali più mansueti e se la distanzii è relativamente breve, quasi sicuramente la siringa che contiene il narcotico, penetra in profon­dità nel corpo dell'animale uccidendolo
Un buon uso di questo metodo è riscontrarle invece nei casi in cui si debbano narcotizzare animiti! di grande mole (es. bovini) la cui cute, essendo più spessa di quella del cane, lascia passere solo l'ago ed il farmaco e non tutta la siringa.
In ogni caso le battute di caccia con fucili con o senza ane­stetico, sono sicuramente poco efficienti, anzi addirittura dannose ai fini delle operazioni di bonifica dal randagismo. Infatti non solo questo metodo richiede l'impiego di un gran numero di persone, (per individuare ed inseguire gli animali), ma risulta evidentemente dan­noso in quanto i cani vengono in gran parte dispersi e se feriti, si

--------
pag 7

rendono talmente diffidenti da sfuggire ad ogni ulteriore controllo contribuendo cosi ancor meglio alla propagazione di parassitasi.
Si è speralo ancora di risolvere il problema del randa­gismo imbottendo di stricnina polpette di carne od altro, causando cosi la morte di qualche cane, ma più spesso di bestiame al pascolo o di animali proletti, e peggio ancora di persone venute causalmente a couUillo con il veleno. Molto opportunamente oggi è severamente proibita l'uso di bocconi avvelenati su lutto il territorio nazionale.
Per quanto riguarda ii servizio svolto dal tradizionale ac­calappiacani, è stato ormai dimostrato, anche a detta degli stessi operatori, che esso agisce esclusivamente nelle aree urbane e su cani docili che vivono a continuo conlatto con le persone; si tratta in genere di animali sverminati e vaccinati da un padrone, che so­litamente li riscatta subito dopo la cattura e che imparano succes­sivamente ;id evitare con la fngn la spiacevole sensazione del lac­cio che si stringe intorno al corpo (foto 10).
Può capitare però che a dover essere accalappiati siano cani di grossa taglia e con intenzioni bellicose, che di solito diffidano delle persone e soprattutto di quelle che tentano di catturarli, co­stringendo chi lo fa per lavoro n lunghi e spesso inutili inseguimenti. Come unico risultalo si ottiene lo svilimento della figura dell'acca­lappiacani il quale svolge un servizio utile alla comunità con tutti i rischi che comporta attualmente l'uso di attrezzature antiquate e non funzionali.
Possiamo quindi concludere che tulli i sistemi fino ad oggi usali per eliminare il problema del randagismo canino. quando non siano risultati dannosi, si sonu rivelati quantomeno inefficaci.
Nessuno di questi sistemi consente di catlurare l'animale illeso e di discriminare tra cane randagio (pericoloso veicolo di infezioni) e cane sfuggito alla sorveglianza del proprietario magari per la pri­ma volta; inoltre, sia nel caso delle battute di caccia, sia nel servizio di accalappiamento, deve necessariamente essere impiegato un gran numero di persone, per molte ore. per riuscire a catlurare un numero limitalo di cani, in relazione alle energie spese.
Si unisce cosi al disservizio anche lo spreco di sforzi e di denaro pubblico.
Alla luce delle precedenti esperienze sono così pervenuto alla ideazione e alla progettazione di un sistema che consente di catturare finalmente anche gli animali più elusivi, evitando loro i barbari traumatismi ed eventuali rischi per gli operatori impegnati nelle operazioni di bonifica, si traila di cani chi1 infestano città o paesi, già definiti vaganti o inselvatichiti che solitamente gravitano

--------
pag 8

mille zone meno antropizzate e si rivelano altrimenti impossibili da catturare.
L'utilizzo, dello strumcnlo antìrandagismo consente di at-lirnre tramite speciale liquido esca anche gli animali più dif-lidcnti e di intrappolarli senza arrecare loro danno alcuno, Inmcndo loro sufficiente spazio per muoversi nonché cibo e acqua. I soggetti cosi catturati possono essere tenuti in os­servazione per i termini prescritti dalla legge senza subire o provocare a terzi inutili danni. Indispensabile sottolineare inoltre il vantaggio offerto dal congegno antirandagismo in termini di ri­sparmio di tempo ed energie da parte degli addetti al servizio, i quali anziché inseguire (a volte per ore) cani «difficili» spesso senza risultato, non devono far altro che ispezionare le gabbie-trnppola piazzale in punti chiave (discariche, mattatoi, o in prossimità di carrelli [lolla spazzatura) e quando vi trovino il cane, portarlo negli appositi locali, professionalizzando così il proprio servizio, la stru-niL-nto antirandagismo espleta il servizio di cattura 24 ore su 24, in qualunque condizione di tempo o di terreno, richiedendo quale manutenzione esclusivamente la riapertura dello sportello di cat­tura ad ogni installazione ed il cambio dell'esca, settimanalmente. L'indiscutibile efficacia del metodo è risultata chiaramente negli anni di sperimentazione ed utilizzo nell'area del Parco Nazionale il' Abruzzo.
Abbandonate infatti le inefficenti tradizionali tecniche, in quanto risultate oltretutto molto più dispendiose dell'uso delle Gab­bi In-Trnppola, si prosegui nell'applicazione delle metodologie di cen-simenlo dei cani randagi, sia tramite l'osservazione diretta delle Guardie del P.N.A., sia tramite la raccolta dei dati registrali nei co­muni interessati ali' operazione di bonifica. Si rimediò ali' assenza di un inceneritore atto alla distruzione dei visceri infestati. Allo scopo di divulgare la conoscenza del problema ai cittadini, fu stampalo un manifesto, illustrante il ciclo vitale dei parassiti trasmessi dal cane all'uomo, nonché una serie di precauzioni da adottare per control­lare ed eliminare la piaga del randagismo canino. Dal canto loro le autorità dei Comuni che hanno collaborato all'operazione di bonifi­ca, si sono espresse mediante l'emissione di ordinanze che prevede­vano la obbligatorietà della vaccinazione anlirabbica dei cani, la lo­ro sverminazione e l'applicazione di medagliette di riconoscimen­to, deliberando inoltre l'acquisto degli strumenti antirandagismo. Tutto questo fu pubblicizzato tramite articoli sui giornali e conferen­ze e dibattiti siili' utilizzo delle gabble trappola che permettevano finalmente di catturare i cani che non risultavano sotto il diretto controllo del proprietario, sia nell'ambiente urbano che in alta mon­tagna.
La maggior percentuale di cani catturali si riferiva soprattut­to ali' area delle discariche od in generale dove (in un modo o nell'al­tro) venivano accumulali rifiuti (foto 13).
L'applicazione delle tecniche sopra esposte ha portato nel giro di due anni alla quasi totale eliminazione dei cani randagi e paral­lelamente alla repentina diminuzione della percentuale di danni al patrimonio zootecnico. Dal!' analisi dei registri del C. F. S. ri­sulta chiaramente la differenza tra le somme erogate dallo Stato a titolo di rimborso danni, negli anni precedenti al 1980, quando rifondeva decine di milioni di lire, alle sostenibili 100 mila lire attuali.
Gli sviluppi della ricerca sul randagismo canino hanno per­messo di individuare una metodologia che è stata poi adottata in varia misura da organismi amministrativi di varie regioni italiane. Naturalmente i migliori risultati sono stati ottenuti laddove l'impe­gno e l'organizzazione degli Enti preposti all'operazione di bonifica dalla piaga del randagismo canino, hanno rispettato le metodologie all'atto della installazione degli strumenti antirandagismo. Queste infatti variano necessariamente sia ili base alle esigenze primarie det­tale dalla vastilà dell'ambiente in cui devono operare gli agenti in

---------
pag 9

mento ed alla densità dei  cani randagi.
Solitamente ottimi risultati sono stati ottenuti tramite l'attua­zione del programma nell'area urbana. La competenza dei Servizi Ve-terinari delle U.SS.LL. cui spetta il coordinamento delle operazioni, permette di controllare la popolazione canina anche su vasti centri, con l'utilizzo di due persone che per almeno 4 ore settimanali svol­gono il servizio di controllo delle gabbie-antirandagismo, contro le decine di ore necessaria per ottenere analoghi risultati utilizzando i tradizionali metodi di cattura.
La collocazione degli strumenti antirandagismo nell'area ur­bana, oltre che consentire la cattura dei cani che circolano notte e giorno nei paesi, serve anche da deterrente per coloro che abitual­mente permettono al proprio carie di vagare senza alcun controllo, in quanto, una volta che questo fosse catturato, il proprietario per poterlo riscattare dovrebbe pagare una cauzione (in media 20 -30.000 lire) utile tra l'altro ad ammortizzare il costo d'acquisto del materiale.
• La presenza delle gabbie non può costituire alcun pericolo né per animali né per bambini od adulti. Per quanto riguarda il ser­vizio di controllo, può essere espletato anche dagli operatori eco­logici, utilizzando un semplice carrello od un adatto furgone che permetta di trasportare Tiritera gabbia qualora contenga un ani­male particolarmente mordace, (foto 11-12).
L' utilizzo dei congegni antirandagismo consente quindi una rapida azione di bonifica e di prevenzione del dilagante fenomeno del randagismo.

Roberto Spacone

Ricercatore al Parco Nazionale d'Abruzzo

HOME > box canili gattili > Pubblicazioni > Randagismo Canino